Progetto Demos: "Dalla necessità alla Virtù"
CORONAVIRUS LIMITE 246 METRI
di Marco Iaconetti
246 metri, diconsi in lettere duecentoquarantasei metri, equivalenti a circa ottocento piedi circa, se vogliamo tirare in ballo gli inglesi ed il loro astruso sistema antropometrico. Correggetemi se sbaglio. 246 metri d’autonomia da percorrere a piedi, in perfetta solitudine, perso tra le spire dei miei pensieri, lungo il tragitto che si snoda dal mio appartamento verso il mio ufficio. Giorni addietro pochi, oggi davvero tanti. La prospettiva della mia esistenza è radicalmente cambiata e tutto quello che un tempo mi sembrava scontato, adesso è un bene prezioso, perché la mia “dorata prigionia” è cambiata all’infervorare della pandemia. Oramai i meravigliosi progetti che mi ero prefisso ad inizio anno, sono rinchiusi nel cassetto dei “farò”, come chimere irrealizzabili. Tra qualche giorno sarei dovuto partire alla volta del Vietnam, perché mi ero proposto, insieme alla signora Angela Terzani Staude, di fare un piccolo reportage in memoria del suo compianto marito, autore del libro “Pelle di Leopardo”, per riportare a galla ricordi di una guerra mai dimenticata. Ed invece eccomi qui confinato a passeggiare tra camera, bagno e soggiorno, salutando Massimiliano, il piccione che mi sono dovuto fare amico, “educandolo” al rispetto del mio balcone. Ha un’intelligenza vivida e dopo averlo “adottato”, adesso mattiniere, mi bussa regolarmente con il suo becco sull’anta della mia vetrina, per ricordami il nostro patto, riscuotendo ciò che gli spetta, per poi volare via tra le strade deserte di una città irriconoscibile. Preferisco quantomeno la sua “interessata” compagnia a quella di virtuali amicizie, che mi inondano di inutili notifiche postate sui social. Oramai Facebook ha dato diritto di parola a tutti, ed ognuno di noi si sente in dovere di dire la sua, tratteggiando con “analitica lucidità”, la risoluzione alla prima epidemia del villaggio globale. L’andatura per raggiungere quota metri è molto lenta, perché voglio assolutamente gustarmi ogni singolo passo del mio percorso, lungo la spettrale Nazionale. Nonostante la minacciosa monotonia, la città si offre nuda con tutte le sue compassate angosce, cementando un breve ed intenso rapporto, non sempre idilliaco. Il poliziotto della stazione, che una settimana fa aveva esaminato con solerzia il mio permesso si è abituato al mio andirivieni, a differenza dei rarissimi passanti, che mi guardano sgomenti dall’alto delle monocromatiche mascherine. La loro ipocondria è tale, da non esporre nemmeno un centimetro della propria pelle al pallido sole pre-primaverile.
Si è messo in moto un meccanismo perverso, un male peggiore dello stesso male: la paura. Siamo tutti potenziali “untori” e basta uno starnuto, una mano messa in fallo per agitare nell’immediato chi incrocio, come se di fronte si fosse materializzato qualcosa di diverso da loro. Gli unici ad avere un atteggiamento disincantato sono alcuni ragazzi appena usciti dal Sert. Nonostante siano bardati di tutto punto fraternizzano con strette di mano ed abbracci, ed al diavolo tutte le disposizioni ministeriali, hanno preferito alla piaga del contagio, il flagello di una vita stile junky. I 246 metri, secondo le recenti normative non sono più accettabili, diventano così un percorso utopico. Potrei essere un contagiato, forse lo sei tu, no lo siete voi, ed allora ritiriamoci in quarantena dentro le mura domestiche. Non ho nessuna particolare necessità, in tanti sanno della mia misantropia e questo momentaneo stacco dalla routine, è soltanto un altro giochetto, uno scherzo per rafforzarmi interiormente per le sfide che mi attendono. La mia stanza è vuota, piccola e spartana, con un tecnigrafo di chiara archeologica industriale e nessun quadro. Libri di scrittori sparsi qui e la pigrizia di chi soffre di eccentrico dinamismo sembra acuirsi. E’ una lotta impari, ma decido prepotentemente d’impormi delle ferree regole, non posso perdere la battaglia facendomi vincere dall’accidia. Viaggiare il mio personale modo d’intendere la vita, ma ciò non m’impedisce di pensare ingannando la noia con ricordi, aneddoti, amori e storie. Il Coronavirus passerà? Come e soprattutto quando? Non è l’attimo a farmi paura ma il dopo, corrosi dal cambiamento epocale di cui siamo tutti passivi testimoni La medicina debellerà il male ne sono convinto, ma non le zone rosse che oggi orlano i confini delle nostre città, ma che continueranno a delimitare le nostre menti, convinto che passata la pandemia, in molti, esasperati da questi giorni di lutto si sentiranno in diritto di cavalcare la spirale del vizio. Per adesso possiamo solo aspettare.
pubblicato il 22/03/2020
Marco Iaconetti,
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